lunedì 15 agosto 2011

Sapere aspettare

Sapete aspettare?
Riuscite a immaginare quanto tempo la gente passa ogni anno ad aspettare? Aspetta mentre fa la fila al negozio o alla stazione di servizio. Aspetta per essere servita al ristorante. Aspetta per essere visitata dal medico o dal dentista. Aspetta l'autobus e il treno. Sì, nella vita trascorriamo una sorprendente quantità di tempo ad aspettare che avvenga qualcosa. Secondo una stima, solo i tedeschi passano 4,7 miliardi di ore all'anno bloccati nel traffico! Qualcuno ha calcolato che ciò equivale all'aspettativa di vita di circa 7.000 persone.
Aspettare può essere molto frustrante. Oggigiorno sembra che il tempo non basti mai, e il pensiero di avere tante cose da fare può rendere l'attesa davvero snervante. Lo scrittore Alexander Rose disse: "Metà del supplizio della vita è aspettare".
Lo statista americano Benjamin Franklin riconobbe che l'attesa può anche essere costosa. Più di 250 anni fa disse: "II tempo è denaro". Per questo le ditte cercano di evitare inutili ritardi nell'attività lavorativa. Produrre beni in minor tempo può significare maggiori profitti. Le imprese cercano di velocizzare i servizi che offrono: fast food, sportelli bancari accessibili dall'auto, e via dicendo. Sanno che accontentare il cliente significa anche non farlo aspettare.

Tempo vitale sprecato
Ralph Waldo Emerson, poeta americano del XIX secolo, ebbe a dire: "Gran parte della vita umana si spreca aspettando". In tempi più recenti lo scrittore Lance Morrow si lamentò della noia e dei disagi dell'attesa. Ma poi parlò della "più sottile infelicità dell'attesa". A cosa si riferiva? Alla "consapevolezza che la nostra risorsa più preziosa, il tempo, una parte della nostra vita, ci viene sottratta ed è irrimediabilmente perduta". Triste, ma vero. Il tempo perso ad aspettare è perduto per sempre.
Ovviamente, se la vita non fosse così breve, ci preoccuperebbe di meno dover aspettare. Ma la vita è breve. Dovunque viviamo e chiunque siamo, la nostra vita — i giorni, le ore, i minuti che abbiamo davanti a noi alla nascita — è limitata. Eppure non possiamo evitare situazioni che ci costringono a sprecare parte di quel tempo prezioso per aspettare eventi o persone.

Dovete imparare ad aspettare
La maggioranza dì noi sa cosa significa trovarsi in auto con un guidatore che cerca di continuo di sorpassare chi gli sta davanti. Spesso non c'è una ragione impellente: l'autista non ha nessun appuntamento urgente. Nondimeno non sopporta l'idea di dover stare dietro un'altra macchina. La sua impazienza rivela che non ha imparato ad aspettare. Imparato? Sì, saper aspettare è qualcosa che si impara. Nessuno nasce con questa capacità. I neonati, quando hanno fame o si sentono a disagio, esigono attenzione immediata. Solo crescendo imparano che a volte bisogna aspettare prima di ottenere quel che si vuole. In effetti, dato che aspettare è una realtà inevitabile della vita, saper aspettare con pazienza, quando è necessario, rivela maturità.
Naturalmente ci sono situazioni urgenti in cui l'impazienza è giustificata. È comprensibile che un giovane marito che sta portando d'urgenza all'ospedale la moglie in procinto di partorire mostri impazienza. Comunque, nella maggior parte dei casi in cui si e costretti ad aspettare non è in gioco la vita, e la situazione sarebbe molto più sopportabile se tutti imparassero a pazientare, anche quando l'attesa è dovuta all'inefficienza o all'indifferenza di qualcuno. Sarebbe anche più facile essere pazienti se tutti imparassero a usare bene il tempo in cui sono costretti ad aspettare.
Non va trascurato il fatto che l'impazienza può rivelare uno spirito orgoglioso: qualcuno potrebbe pensare di essere troppo importante per dover aspettare. La superbia e l'orgoglio sono seri difetti della personalità. Per imparare la pazienza — per imparare ad aspettare — può dunque essere necessario esaminare attentamente se stessi e il modo in cui si considera il prossimo.

in http://caffeforum.it/l-angolo-del-caffe/perche-e-importante-imparare-ad-aspettare-t1483.html

1 commento:

  1. Sono tutti i santi giorni che passo due o tre ore a fare la fila e ancora non conosco nessuno... il cuzzetto di quello davanti... e l'alito di quello dietro! Alienati, pazzi. Cazzo, le due e un quarto. Ecco qua: il tavolo dei greci, dei calabresi, quello di Messina, di Enna, le femministe sarde, il collettivo gay di Pescara... Solo, sono solo!

    (Andrea Pazienza, "Enrico Fiabeschi alla mensa universitaria")

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